Ciao. Mi chiamo Luca Gambini.
Nasco a Città di Castello il 29.06.1978, e trascorro la maggior parte della mia vita a San Giustino, piccolo comune in provincia di Perugia ai confini con la Toscana.
Sono il terzo di quattro figli, dopo due sorelle arrivo io.
Fin da subito sono un bambino vivace, sensibile, giocherellone; a scuola non vado molto bene.
La mia infanzia, a tratti spensierata e a tratti no, trascorre così, a giocare con i miei fratelli e con qualche amico vicino di casa.
Mi piace tanto anche andare con il babbo a cercare i funghi o a pesca; spesso e volentieri ci sono anche i miei fratelli.
La mamma, tanto buona, mi ha sempre preparato dei cibi ancor più buoni, e di fatti sono sempre stato una buona forchetta.
Alle superiori scelgo la scuola professionale Bufalini, indirizzo "falegname", ma dopo due anni abbandono questa scuola; imparo comunque a lavorare il legno e sono anche piuttosto bravo.
La maggior parte del tempo la trascorro con i miei amici di San Giustino.
La mia adolescenza, a tratti spensierata e a tratti no, trascorre così.
Non c'è molto da fare a San Giustino, siamo ragazzi e qualche cavolata la combiniamo per ammazzare la noia.
Per i miei amici avrei fatto di tutto.
Qualche volta mi potevo pure arrabbiare, ma poi facevamo la pace, e quello che era mio era anche degl'altri.
Ero una persona generosa, e non stavo fermo di fronte alle ingiustizie.
Poi arriva la chiamata per il militare.
Proprio non lo voglio fare, ma devo. Sono idoneo.
Parto per Fano dove faccio il CAR, poi da qui vengo spostato ad Ozzano dell'Emilia, nella 2^ Compagnia "PUMA" del 33^ REGGIMENTO CARRI.
È troppo dura per me, non sono fatto per questo sistema di regole rigidissime, non sono mai stato così lontano da casa. Mi manca casa, odio il militare.
Qui mi studio qualcosa per tornare il prima possibile a casa mia.
Faccio casino e torno a casa.
Ma il militare mi cambia per sempre. Inizio a stare male.
Dentro di me si sviluppa un disagio più forte di me.
Allora inizio a bere perché così penso di stare meglio, di pensare ad altro, ma non è così.
Conosco i medici, gli psichiatri, gli psicofarmaci, le comunità, i ricoveri in SPDC.
Più passa il tempo e peggio mi sento.
Quello che i servizi mi offrono non mi fa star bene, non mi guarisce, anzi, è come un vortice che mi porta sempre più giù.
Conosco la sofferenza, tanta sofferenza, conosco le ingiustizie, gli abusi.
Annientano la mia personalità, le mie capacità.
Ci sono certi farmaci che non mi fanno parlare e così stò ancora più male, proprio io che ho sempre avuto bisogno di esprimermi, di comunicare.
Io che sono sempre stato un amicone, un compagno, vengo lasciato solo dalla maggior parte dei miei amici, a causa della mia malattia.
Nonostante tutto questo, ho una gran voglia di vivere.
Ho mille sogni e faccio mille progetti.
Suono il bongo e mi diverte tanto, ho anche intenzione di imparare a suonare il basso.
Infatti la musica mi piace un casino; i miei gruppi preferiti sono i Pink Floyd, i Red Hot Chili Peppers, i Queen, i Pantera, i Metallica, Vasco Rossi e tanti altri ancora.
Mi piacciono tanto anche i Bestianera, il gruppo rock del mio amico Steve, che ha anche scritto delle canzoni solo per me, e di questo ne ero proprio fiero.
Un'altra mia passione erano i video-game, in special modo la Play Station, tantè che ne possedevo tutti i modelli.
Anche di automobili me ne intendevo; sapevo un sacco di particolari tecnici che non tutti conoscevano, proprio perché ero un appassionato.
Sono un tifoso di calcio.
Da piccolo ero tifoso del Milan, poi con il passar del tempo ho capito che la mia squadra del cuore era l'Inter!!
Interista per tutta la vita, ed addirittura una volta mi sono tinto i capelli di blu, ovviamente in onore della mia squadra del cuore.
Mi piacevano anche un sacco i tatuaggi e difatti ne avevo tre, e anche i piercing; anche di questi ne avevo tre, cosa che non trovava tanto il consenso dei miei genitori, ma io ero giovane e queste cose mi piacevano.
Sognavo di tornare a lavorare, magari di tornare a fare il falegname coinvolgendo anche mio fratello Marco.
Volevo fare tanti viaggi, vedere il mondo per quanto possibile.
I posti a me più cari erano le montagne magari innevate, perché in quei posti si respira la pace e la tranquillità.
Adoravo i miei cani, Max e Manta, maschio e femmina di pastori del Caucaso, e stavo pensando di mettere su un allevamento di questi bellissimi cagnoloni.
Ma invece non è andata così.
Il 2007 è un bruttissimo anno per me, veramente brutto.
A novembre vengo ricoverato in SPDC. Stavo male.
Venivo da una brutta esperienza passata in una comunità non lontano da casa mia.
E vado in SPDC a Perugia, dove altre volte sono stato.
Mi faccio degli amici qui, dei cari amici a cui vorrò per sempre bene.
La mattina del 29 dicembre 2007, prendo e bevo del metadone. Non l'avevo mai preso, non sapevo che effetto facesse.
Sono riuscito a prenderlo beffando l'infermiere che distribuiva la terapia.
Lo sapevo che ero più "vispo" di lui.
Secondo mia sorella Cristina volevo dimostrare agli operatori in servizio che non erano poi tanto capaci a fare il loro lavoro.
Infatti se qualche infermiere avesse controllato meglio, non sarei mai riuscito a prendere quella boccetta di metadone.
Ma non è andata così.
Pensavo che comunque ero al sicuro perché ero in ospedale, e in quale miglior posto stare quando si stà male?
Ma non è andata così'.
Dopo la cavolata che ho fatto, ho visto anche la mia cara mamma e la mia cara sorella Silvia.
Stavo ancora bene.
Non sapevo che quella era l'ultima volta che le avrei viste, o meglio, l'ultima volta che loro mi avrebbero visto.
La mia mamma, prima di venire da me nella mia stanza del SPDC, andò a parlare con colui che diceva di essere il primario, e questo non le disse che avevo bevuto del metadone.
Solo un mio amico, ricoverato con me, informò la mamma dell'accaduto.
La mamma mi sgridò, e chiese spiegazioni agli infermieri presenti, ma nessuno volle dire nulla, se non che doveva tornare a parlare con il primario.
La mamma rimase sorpresa perché ci aveva appena parlato con il primario.
Ma ci tornò.
E solo allora il primario le disse quello che era successo.
La mia mamma era allarmata, preoccupata. Disse che sarebbe rimasta tutto il giorno con me, chiese se "rischiavo".
Il primario le disse di no, che non rischiavo nulla, che il giorno dopo non sarebbe più stato niente, e che io ero "… una roccia", e me l'ero "… cavata in situazioni ben più peggiori".
Inoltre disse a mia mamma di andare a casa, che io dovevo stare tranquillo e che dovevo dormire.
Ripeté più volte che il giorno dopo non sarebbe più stato niente, e di non preoccuparsi perché il personale sanitario avrebbe fatto tutto quello che si doveva fare.
Non ero in pericolo di vita.
Intanto, sempre quella mattina, telefonò mia sorella Cristina che era stata informata dalla mamma dell'accaduto.
Cristina parlò al telefono con il primario, che ripeté le stesse parole: non vi preoccupate, domani non sarà più niente, facciamo tutto quello che si deve fare.
Mia sorella Cristina aggiunse che quel pomeriggio sarebbe venuta a trovarmi, visto che lavorava lontano e quel giorno invece si trovava a casa.
Ma il dottore rispose che era meglio se stavo tranquillo, che dovevo dormire, e su questo era irremovibile.
Mia sorella non sapeva quanto metadone avevo bevuto. Neanche io lo sapevo.
Non sapevo che lei non mi avrebbe più visto.
La mamma e la Silvia furono rimandate a casa, senza nemmeno dare loro la possibilità di salutarmi.
Camminai per il corridoio, andai in camera, a letto. E mi addormentai.
Dormi tutto il giorno.
Non so quello che si deve fare per tutto il metadone che avevo preso, ma quà non mi fanno niente. Mi lasciano solo dormire.
Intanto nel pomeriggio, più volte la mamma telefona per sapere come stò.
Le dicono che dormo, ma che stò bene, che tutto è sotto controllo, e che è normale che io dorma, "chiunque avesse preso quello che ha preso Luca, dormirebbe".
Io dormo.
Poi mi sveglio. Ormai è sera.
Non stò bene, sono confuso, le gambe non mi reggono.
Provo a camminare per andare in refettorio.
Voglio mangiare, a pranzo non ho mangiato niente perché dormivo.
Mi danno un panino ma non ce la faccio a masticare, allora mi danno del latte.
Torno verso la mia camera dove non c'è neanche il campanello.
Non ho forza nemmeno per tenere dritte le gambe; i miei due cari amici mi aiutano, solo loro.
Arrivo a letto.
Chiedo al mio amico di mettermi su il dvd dei Pink Floyd (ho la tv quì e anche la Play Station).
Il mio amico rimane con me, gli chiedo di tenermi la mano e lui lo fa.
A casa tutti sanno che io stò bene, che quì mi controllano, che quì fanno tutto quello che si deve fare. Che non sono in pericolo di vita.
Ma non è così.
Il mio amico stà con me, mi tiene la mano, io mi riaddormento.
Passa il tempo, il mio amico và al bagno, si prepara per andare a dormire.
Prima di andare a dormire torna da me, è preoccupato per me, mi guarda, dormo, respiro.
Và a letto anche lui.
Io intanto stò sempre più male, ma dormo. Dormo perché non riesco a fare altro.
Stamattina il personale sanitario mi ha detto che avrei dormito, e io dormo.
Ma nel mio corpo sta succedendo qualcosa di strano.
Tutto si sta spegnendo, io mi stò spengendo.
Stò morendo, ma solo il mio corpo và incontro a questa sorte, la mia anima no.
Mi stò trasformando.
Sono diventato un angelo.
Intanto passa il tempo, un minuto, due minuti, mezz'ora, un ora…
Non so quanto tempo sia passato da quando sono diventato un angelo.
Un infermiere viene nella mia camera del SPDC, si avvicina a me.
Luca è morto.
Non sò cosa sia successo dopo, fatto stà che viene chiamato anche il primario e questo arriva in reparto.
Infatti alle ore 04:45, il primario telefona a casa mia; risponde la mamma che naturalmente stava dormendo.
Chissà quanto male le ha fatto questa telefonata nel cuore della notte.
Soprattutto quando il primario dice alla mia mamma: "Signora, purtroppo Luca è morto. Sà, a lungo andare i farmaci …", ma alla mamma non bastava questo, non poteva credere che ero morto per i farmaci che prendevo (in poche parole, la terapia che mi veniva somministrata), sapeva che ero morto per quel metadone che avevo bevuto.
Era ovvio.
Intanto le urla dei miei cari si alzavano.
Le lacrime cadevano a terra come pioggia.
Sembrava un incubo.
Non poteva essere vero.
Luca il giorno prima stava bene.
E di fatti, a parte il mio problema di disagio mentale che vi ho già raccontato, io, Luca Gambini ero sano come un pesce sano.
Immediatamente i miei familiari si sono precipitati a Perugia, che dista da casa mia a San Giustino circa 60 km.
Arrivano.
La mamma cerca anche di rianimarmi.
Ma è tardi.
Sono già diventato un angelo.
Mia sorella Cristina và dal primario, cerca di capire che cosa sia successo.
Solo ora sà che in realtà non mi hanno fatto niente di ciò che dovevano fare.
Bastava che mi mettessero un ago cannula, così da avere un accesso venoso in caso di emergenza.
Bastava che chiamassero la Tossicologia, così da avere una consulenza specialistica sul da farsi.
Bastava che mi somministrassero il Narcan, che è un farmaco salvavita, antidoto per il metadone.
Bastava mi facessero una lavanda gastrica, così avrei eliminato buona parte del metadone, che invece è stato assorbito completamente dal mio corpo.
Bastava che mi trasferissero in un reparto di Terapia Intensiva, così che mi potessero monitorare costantemente.
Bastava che leggessero il foglietto illustrativo contenuto nella confezione del metadone.
Bastava che cercassero su internet cosa fare in caso di overdose da metadone, visto che, non avendo io mai assunto metadone come tutto il personale sanitario sapeva, la mia era un'overdose.
Bastava che controllassero meglio durate la distribuzione della terapia.
Hanno avuto un sacco di tempo per poter fare qualcosa.
Ma invece niente, non hanno fatto nemmeno mezza delle cose che Bastava fare.
Eppure, non me lo spiego come mai gli operatori si sono comportati così.
Che non sapessero? Strano. Sono professionisti, e questa non era una cosa difficile.
Proprio per niente difficile.
Per tutto questo, io Luca Gambini, vi dico: State Attenti.
Se un giorno, sfortunatamente, avrete bisogno di un sostegno per la vostra salute mentale, State Attenti a chi troverete come specialista, perché invece di aiuto potreste trovare solo sofferenza, soprusi e manipolazione farmacologica che và ad arricchire il business dell'industria farmaceutica.
Non nasciamo già capaci di vivere questa vita al meglio, di adattarci e superare i momenti difficili.
Allora si possono instaurare dentro di noi delle sensazioni negative, che vanno a compromettere il nostro equilibrio emozionale e mentale.
Se invece di trovare la mano che vi rialza, trovate la mano che vi spinge dentro il vortice, allora sarà molto difficile uscirne fuori indenni.
Ai familiari dico: non siate morbidi al primo torto che subite; se vedete che qualcosa non è chiara nella cura di un vostro caro, informatevi e denunciate.