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Domenica 6 gennaio 2008
il Giornale dell'Umbria
La morte di Luca Gambini per un'overdose di metadone ha riacceso i riflettori sulle carenze del "repartino"
Psichiatria al collasso
"Personale scarso e isolamento"
Doppia inchiesta della Asl e della Procura per omicidio colposo, ma gli addetti avevano denunciato "lo stato di crisi" già sei mesi fa
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FRANCESCA BENE
PERUGIA - Secondo i dati forniti dall'Organizzazione mondiale della Sanità, i disturbi neuropsichiatrici sono la seconda causa di "anni di vita persi" dopo le malattie cardiovascolari. Detta in parole povere, anzi in numeri, il 20 per cento delle morti premature è legato alla malattia mentale. L'Umbria, nonostante il suo passato di regione all'avanguardia nella cura di questo tipo di malattie, non fa eccezione. Anzi, il dipartimento di Salute mentale di Perugia (figlio della stessa psichiatria che negli anni '70 ha dimostrato all'Italia che i manicomi non erano l'unica soluzione possibile), oggi si trova sulle prime pagine dei giornali, per un presunto caso di malasanità. Esattamente una settimana fa, Luca Gambini, un ragazzo di 29 anni, si è spento proprio nel "repartino" a causa di un'overdose di metadone. Una morte che, secondo la famiglia, poteva essere evitata se i controlli fossero stati più attenti. Sul caso farà chiarezza la magistratura. Per ora c'è solo un giovane sotto terra, una famiglia distrutta, un primario e quattro infermieri che rischiano di finire a processo con l'accusa di omicidio colposo. Il giorno dei funerali di Luca, la Asl (a cui fa capo la struttura) ha inviato una nota in cui ha espresso il più profondo rammarico per quanto accaduto e annuncia l'istituzione di una commissione di inchiesta interna per far luce sulla vicenda e capire cos'è che, nella notte tra sabato e domenica scorsa, non ha funzionato. L'equipe di esperti probabilmente scoprirà ciò che gli addetti ai lavori, cioè i medici, gli infermieri, gli operatori e le associazioni hanno denunciato nel corso del secondo incontro del "Forum sulla salute mentale dell'Umbria", svoltosi nel giugno scorso a Perugia. Al termine dei lavori è stata scritta una lettera aperta alla presidente della Regione per richiamare l'attenzione su quegli aspetti delle politiche sanitarie e sociali che richiedono urgente attenzione ed approfondimento. Nel documento veniva posto, in particolare, l'accento sulla situazione in cui si trovano i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura presso gli ospedali generali della regione. "Tali strutture - spiegano i diretti interessati - lavorano con un numero di posti letto che è il più basso in Italia in rapporto alla popolazione e fortemente al di sotto degli standard di legge". Ritornando ai numeri, è dato di fatto che il Spdc (servizio psichiatrico diagnosi e cura) di Perugia offre la disponibilità di 24 letti. L'estate scorsa i posti sono stati ulteriormente ridotti del 25% per carenza di personale, passando da 24 a 18. Sullo stesso piano sono stati concentrati uomini e donne. In questo modo al disagio è stato aggiunto altro disagio. D'estate come d'inverno nella stessa corsia, fianco a fianco, vengono curate tutte le forme di patologia psichiatrica: il ragazzo giovanissimo in preda ad una crisi d'ansia acuta rischia di dividere la stessa stanza con un malato aggressivo o con un anziano affetto da demenza senile. Proprio per evitare il trauma che la degenza nella struttura comporta, malati a forte rischio di suicidio, come i depressi gravi, vengono rimandati a casa. Anche quando le cose funzionano a pieno regime l'offerta di personale è abbastanza limitata. Nel reparto, di psichiatri ce ne sono solo cinque e, ciliegina sulla torta, dalle 13 del sabato fino alle 8 del lunedì non è prevista la presenza in reparto di un medico. L'assistenza psichiatrica è "coperta" da un camice bianco reperibile che viene chiamato solo in caso di emergenza e deve rispondere in contemporanea alle necessità del Santa Maria della Misericordia di Sant'Andrea delle Fratte e di Monteluce. Oltre alle carenze di personale interne il "repartino" deve infine fare i conti con l'isolamento esterno. Il trasferimento degli altri reparti al Santa Maria della Misericordia vede lo Psichiatrico sempre più ai margini. In pratica, se un malato, oltre della dose di calmante, ha bisogno all'improvviso di specialisti di altri reparti, deve attendere l'arrivo del medico del Santa Maria Della Misericordia o il trasferimento in ambulanza al Polo Unico che si trova dall'altra parte della città. Sentito dal Giornale dell'Umbria su questo problema, poco prima di Natale, il direttore della Asl2, Giuseppe Legato, ha assicurato che, salvo complicazioni, anche il "repartino" verrà trasferito entro la fine di quest'anno. Staremo a vedere.
L'INTERVISTA
"La responsabilità è dei politici, ma anche degli addetti ai lavori"
PERUGIA - Dalla teoria ai fatti. Dopo aver fatto un quadro delle problematiche dell'offerta sanitaria locale in materia di salute mentale è d'obbligo sentire chi questa realtà l'ha vissuta in prima persona. I testimoni che hanno visto lo strano "declino" della psichiatria in Umbria sono tanti. Noi ne abbiamo scelto uno speciale. Si tratta di Clara Sereni, una donna che con questa realtà si è trovata a fare i conti come politico, come presidente della fondazione "La Città del Sole", ma soprattutto come madre. Una madre che va fiera del fatto di essere riuscita a tenere lontano il proprio figlio da una realtà quale è quella del "repartino" e che ha creato una fondazione che oggi permette ai figli di altre madri di avere gli stessi "privilegi" che ha avuto il suo.
In quindici anni il numero degli addetti a centri di salute mentale e reparti psichiatrici in Umbria è stato dimezzato, come si spiega questo fatto?
"Credo che le responsabilità vadano suddivise tra le mancanze della politica e quelle degli addetti ai lavori. Negli anni '70 l'Umbria è stata teatro di una vera rivoluzione per quanto riguarda l'approccio e la cura della malattia mentale. Abbiamo anticipato la legge Basaglia. Siamo stati i primi a mettere all'indice quella vergogna che erano i manicomi, luogo in cui (e non in senso figurato) i malati di mente vivevano tra gli escrementi e come tali venivano trattati. Le rivoluzioni però hanno bisogno di aggiornamenti continui. Le grandi sfide, come quella vissuta dalla psichiatria umbra, sono una strada in salita. Se non si va avanti si rischia di precipitare all'indietro. Qui, la rivoluzione ha i capelli bianchi ed è anche un po' pelata".
Secondo lei, quando è cominciato questo declino?
"Ho capito che il progresso della cura della salute mentale in Umbria era a rischio nel 1995, quando è stato firmato il protocollo d'intesa per la creazione del Polo Unico del Silvestrini. All'epoca ero vicesindaco di Perugia. Nel documento non erano previsti spazi a Sant'Andrea delle Fratte per l'Spdc. Ho lottato perché il progetto non prevedesse l'isolamento del reparto. L'idea che il Servizio psichiatrico diagnosi e cura deve stare all'interno della struttura ospedaliera è previsto dalla legge 180, dalla 833 e dai vari progetti obiettivo in materia".
Secondo lei qual è la carenza più grave dell'offerta psichiatrica locale?
"Manca una catena che garantisca al malato e ai suoi familiari un supporto nelle varie fasi della malattia. Per le emergenze c'è il "repartino". Non è sufficiente, ma c'è. Invece manca completamente un servizio post crisi, per esempio".
Come detto, dopo aver lottato come politico, Clara Sereni ha creato un progetto concreto che va ad integrare l'offerta del servizio pubblico, la Città del Sole. La fondazione, che quest'anno compie dieci anni, si fonda sulla consapevolezza che, "la salute mentale ed il benessere mentale sono fondamentali per la qualità della vita e della produttività degli individui, delle famiglie, delle comunità e delle nazioni …". L'offerta garantita dalla struttura è molto ampia e meriterebbe un capitolo a se (chi volesse saperne di più può consultare il sito www.la-citta-del-sole.com)
Lo spazio ci obbliga a scegliere. Particolarmente interessante è la gestione di appartamenti in cui vengono ospitate una persona con problemi psichiatrici e tre soggetti "normali" che però non hanno un tetto. Questa realtà permette di integrare i bisogni delle persone malate con quelle delle persone normali. Al momento la Città del Sole ha due appartamenti di questo tipo, uno a ridosso dell'Acropoli, l'altro a Madonna Alta. Un terzo sta per nascere a Fontivegge.